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Diversity in coding, a che punto siamo?

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Mattia Gentilini
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L’ottava edizione del Pycon Italia, la conferenza italiana su Python tenutasi a Firenze dal 6 al 9 aprile 2017, ha riservato uno spazio considerevole al tema della diversity, ossia l’inclusione di tutte le “diversità” (di sesso, razza, religione, gender ecc.) nel mondo della programmazione. Un tema sul quale la community Python è da tempo in prima linea, grazie all’impegno di figure di spicco come Anna Ravenscroft, co-autrice, col marito Alex Martelli, della terza edizione del libro “Python in a Nutshell”, uno dei testi fondamentali sul linguaggio.

Oltre a diversi talk, la conferenza ha ospitato due keynote su questa tematica, uno di Alicia Carr e l’altro della stessa Ravenscroft. Nel primo keynote (slides PDF) Carr ha raccontato la sua storia di coder, iniziata a 51 anni quando, mentre era in fila per acquistare un iPad, ha conosciuto un 16enne che si sarebbe pagato l’iPad col guadagno ottenuto dalla sua app, e ha deciso che questo era ciò che voleva fare anche lei. Lasciato il suo lavoro precedente, ha imparato Objective-C e ha sviluppato la prima app per la segnalazione della violenza domestica nello stato della Georgia. La sua storia è stata raccontata anche alla Apple WWDC del 2015, cui ha partecipato, ma il suo entusiasmo si è presto scontrato con una realtà in cui una donna, di colore, ultracinquantenne, è discriminata per tutti e tre questi motivi. I numeri mostrati da Alicia nel suo talk dimostrano che il mondo dell’hi-tech non è molto più progredito rispetto ad altri settori, e che dunque c’è ancora molto da fare per superare questi problemi.

Da dove partire? Uno spunto interessante lo lancia Anna Ravenscroft nel secondo keynote (abstract), focalizzato sui cosiddetti cognitive bias, ossia quei pregiudizi cognitivi che finiscono per causare atteggiamenti discriminatori. Tali pregiudizi sono spesso inconsci, dunque non vanno colpevolizzati; sono inoltre molto sottili, nascosti in piccole sfumature di linguaggio o di atteggiamento, dunque richiedono particolare attenzione per essere riconosciuti ed evitati. Capita inoltre che tale pregiudizio sia applicato anche da chi appartiene alla categoria discriminata (e.g. donne che tendono a discriminare le donne)

Un esempio portato nel talk è quello delle orchestre. Nel tentativo di comprendere se la schiacciante presenza di uomini bianchi nelle orchestre di musica classica fosse dovuta a qualche pregiudizio che esulasse dalla effettiva capacità dei candidati, fu condotto l’esperimento di fare audizioni al buio, ossia senza che gli esaminatori vedessero la persona che stavano valutando, ma potendo solo ascoltare ciò che suonava. I primi risultati mostrarono un aumento della presenza di persone di colore tra quelle selezionate dagli esaminatori, mentre la percentuale di donne rimaneva bassa; la causa fu individuata nel fatto che, dovendosi presentare in abito elegante alle audizioni, le donne portavano scarpe col tacco, il cui diverso rumore era sufficiente a suggerire all’esaminatore il sesso del candidato. Fu quindi necessario posizionare nella stanza dell’audizione dei tappeti in modo da attutire il rumore dei passi e prevenire l’attivazione di questo bias.

Un altro esempio è proprio quello delle conferenze di ambito informatico. In caso di nuovi incontri, le domande che vengono poste per fare conoscenza cambiano in base al sesso di chi è di fronte. È probabile che, a un uomo, si venga chiesto che linguaggio usa, su che genere di applicazioni lavora e altre domande tecniche. A una donna, invece, viene domandato principalmente se è una programmatrice, o se appartiene al HR o ad altri settori aziendali più tradizionalmente femminili. Tutto questo nasce dal pregiudizio. A molti pare ancora strano conoscere una donna programmatrice o interessata all’argomento, nonostante ci siano tante donne che hanno segnato la storia dell’informatica (Ada Lovelace, le programmatrici dell’ENIAC, Grace Hopper, Adele Goldberg e altre).

Porre attenzione al proprio atteggiamento, alle proprie parole e a come si guardano gli altri, è il primo modo per evitare di cadere in questi pregiudizi, spesso inconsci, che influenzano la nostra valutazione dell’altro. Un modo per mettere in pratica questa attenzione è anche lo sforzarsi di ragionare al contrario, ossia riservando, anche a livello normativo, uno spazio alle categorie più discriminate (un esempio è quello delle “quote rosa” nelle elezioni amministrative).

Quest’ultima, a mio parere, non può però essere una soluzione definitiva, ma solo un modalità a breve/medio termine per educarsi alla diversità e a valutare le capacità delle persone in un dato ambito solo in base alle caratteristiche pertinenti. Un ambiente inclusivo è quello in cui non servono le quote rosa, perché sceglie le persone meritevoli, di qualunque sesso, razza, religione o altro esse siano.

Mattia Gentilini
Scritto da
Mattia Gentilini
Sviluppa applicazioni web e mobile perché, come disse Linus Torvalds, "Dentro ai confini del computer sei un Dio". Costruisce capolavori e mostruosità, tanto col codice quanto coi mattoncini Lego.