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Riconoscimento facciale, 2017: a che punto è la tecnologia?

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Redazione Antreem
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Nel 1997, nel film Face Off, ci si iniziava a preoccupare della possibilità che improbabili nemici volessero rubarci letteralmente il volto. Venti anni dopo si sente spesso parlare di sbloccare il proprio smartphone con l’immagine del viso, anche al Pycon Otto si parla di face analysis e del grande potenziale di questo strumento.

Sono già passati sette anni da quando Microsoft pubblicò l’estremamente discussa funzionalità di Kinect, legata al riconoscimento, che fece alzare più di qualche voce rispetto la sua involontaria capacità di ignorare i soggetti di colore e le e tecnologie di riconoscimento facciale crescono e migliorano col passare di ogni giorno.

L’idea di riconoscimento facciale eseguito da macchine nasce negli anni ’60, il governo americano finanziò infatti uno software in grado di trovare le caratteristiche tipiche di un viso (occhi, naso, labbra, …). Negli anni ’70 è stato compiuto un altro passo avanti, con la creazione di un modello composto da ventun punti che rappresenta la generalizzazione matematica di un volto. Da qui possiamo fare un salto alla fine degli anni ’80, quando vengono introdotti concetti più definiti, ancora in uso negli strumenti odierni. Grazie a una ricerca di Kirby e Sirovich, all’epoca, sono state definite le Eigenfaces, ovvero le caratteristiche uniche dei volti in uno spazio di memoria estremamente limitato, racchiuse in un’unica matrice.

Proprio grazie alle Eigenfaces l’automatizzazione del riconoscimento facciale ha avuto una crescita rapidissima portando alla creazione di molteplici software dedicati a partire già dal 1991.

Il primo utilizzo noto di questo tipo di tecnologia è stato nel 2001 durante il Superbowl, per l’identificazione di soggetti pericolosi, il risultato ha portato al riconoscimento di diciannove di questi. Ovviamente, trattandosi di un test, i dati non sono stati sfruttati, ma questo ha dimostrato chiaramente il grande potenziale dello strumento.

Ad oggi gli utilizzi pratici del riconoscimento facciale sono molteplici, il team di ricerca di Facebook ha sviluppato uno tra i software più performanti e viene utilizzato per suggerire i tag all’interno delle foto che carichiamo. Questo strumento è stato anche complice dello sgomento generato sui social dall’annuncio di Facezam, una sorta di Shazam per i volti, in grado di riconoscere l’identità di un soggetto a partire da una qualunque sua foto e cercando riscontri all’interno dei media disponibili su Facebook. L’app si è fortunatamente rivelata una grossa campagna pubblicitaria, ma le applicazioni esistenti possono invece vantare di Helping Faceless, che si pone come scopo la ricerca di bambini scomparsi in India che nel 2015 sono stati oltre 2100.

Microsoft ha fatto passi da gigante dal grosso scivolone di Kinect, con Windows Hello, funzionalità di Windows 10 che permette agli utenti di accedere attraverso l’utilizzo di fattori biometrici come l’impronta digitale e, ovviamente, il riconoscimento facciale.

Anche il mondo dello sviluppo open source ha un occhio di riguardo per il Face Recognition, in primis OpenCV, ormai noto software utilizzato in grande misura da chiunque si approcci all’utilizzo di fattori biometrici nei propri prodotti, come OpenBR, capace anche di effettuare profilazioni relative a età e genere, ed OpenFace, tra le librerie con il più alto livello di precisione secondo i test LFW.

Siamo ancora lontani dal giorno in cui John Travolta si dovrà difendere di nuovo dall’espressività coinvolgente di Nicolas Cage, ma è sicuramente il momento giusto per prendere in considerazione l’idea di un sequel o di investire in queste tecnologie, come ha fatto Antreem per il mio progetto di tesi: Metodi e tecnologie per il riconoscimento facciale.

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