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Test di usabilità: più facile farli che non farli

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Redazione Antreem
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In un mondo sempre più digitalizzato l’esperienza utente, come abbiamo scritto più volte anche su questo blog, è fondamentale. Gli strumenti a disposizione per progettarla al meglio sono tanti, ma i test di usabilità sono la chiave giusta per verificare l’efficacia e la valenza del risultato finale. In questo articolo capiremo il ruolo dei test di usabilità e vedremo alcuni consigli su come eseguirli.

L’EVOLUZIONE DEI TEST DI USABILITÀ

Di test di usabilità se ne discute ormai da circa un secolo. La prima persona a parlarne fu Frederick Taylor nel 1911 con una pubblicazione sui principi di una gestione scientifica. Tuttavia Taylor non era tanto interessato all’usabilità quanto al miglioramento dell’efficienza lavorativa. È solo con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale che si inizia a parlare realmente di test di usabilità per migliorare le interfacce dei P-51 Mustang e aiutare i piloti a rispondere velocemente ai cambiamenti intorno a loro.
Da allora sino a oggi la centralità dell’esperienza utente è cresciuta proporzionalmente alla crescita del mondo digitale fino a diventare fondamentale – e con essa i test di usabilità – laddove la realtà digitale è diventata parte della quotidianità.
Qui i problemi di usabilità sono diventati sempre più stringenti e visibili.

Ad esempio, se si sceglie un bar per fare colazione, e una volta dentro risulta difficile esprimere il proprio ordine per via di un menu inaspettatamente complicato, il primo istinto non sarà quello di uscire subito per cercare un altro bar dove prendere un caffè in maniera più semplice. Sul web invece il discorso è ben diverso.
Probabilmente l’utente è arrivato sul nostro sito tramite un motore di ricerca.
Questo vuol dire che ha almeno altri nove risultati ad un click di distanza. La facilità con cui, al primo intoppo, si può scegliere di spostarsi su di un altro sito è enorme.
Un’altra differenza importante è che nella realtà siamo immersi nell’interazione umana: tornando all’esempio del bar con menu complicatissimo, si può semplicemente chiedere un cappuccino in tazza grande senza leggere il menu e il cameriere capirà ugualmente.

Nella vita quotidiana esistono sicuramente più flessibilità e più possibilità di deviare dal comportamento previsto da chi ha pensato il servizio. Il mondo del web è più stringente, le regole su cosa un utente può fare sono lineari e prestabilite. Sono le persone a doversi adattare al mondo digitale e non viceversa, e già questo di per sé porta l’utente a essere diffidente. Ciò significa che l’esperienza di usabilità dev’essere il più possibile piacevole per far sì che l’utente sia soddisfatto di ciò che è stato progettato per lui e quindi non se ne vada.

Utente che testa l'interfaccia grafica realizzata

PERCHÈ I TEST DI USABILITÀ

A questo punto, appurato che la ricerca sull’esperienza utente sia fondamentale nell’era digitale, non rimane che da chiedersi: “Perché i test utente? Non è sufficiente l’esperienza e l’empatia di un buon UX designer, unita a dei Personas fatti con criterio? Perché investire risorse nei test di usabilità?” Proviamo a ribaltare la domanda: “Perché non dovremmo farli? Perché non far validare il design di un’applicazione (o di un sito web) direttamente dagli utenti target per cui abbiamo pensato il servizio? Abbiamo forse paura di scoprire che sarà un fallimento totale?”

In realtà non c’è cosa migliore che osservare un utente approcciarsi al design per la prima volta. Non importa quanto un designer possa essere esperto del settore in cui si trova a progettare. Non potrà mai entrare nella testa di un utente. A volte ci si arena sul fatto che la preparazione dei test di usabilità – e la loro realizzazione su una platea sufficientemente ampia da poter essere un campione rappresentativo – possa essere talmente onerosa da scoraggiarne l’utilizzo.

Nielsen invece ci insegna che “something is better than nothing”, ovvero “qualcosa è meglio che niente”. Nel campo dell’usabilità non è necessario pensare a test complessi e con un’ampia platea di intervistati. O meglio, anche loro sono utili se lavoriamo su servizi complessi, ma è difficile riuscire a produrne più di uno sull’intero processo di design. Invece i test utente devono essere snelli, in modo da poterli ripetere su ogni interazione che ci lascia dei dubbi.
Nielsen evidenzia i capisaldi dei test di usabilità:

  • pensare a test utenti semplici, che coinvolgano non più di cinque intervistati. Se un intervistato su cinque nota un problema, potrebbe essere un’eccezione, ma se già due intervistati su cinque rilevano la stessa difficoltà può essere già un risultato affidabile. Quindi: cinque intervistati garantiscono già la validità del risultato e allo stesso tempo il numero esiguo permette di poter ripetere i test diverse volte lungo il processo.
  • iniziare i test di usabilità nelle primissime fasi del processo di design, partendo con prototipi low-fidelity, come possono essere i prototipi di carta. Questo garantisce di risolvere molti problemi già nella fase di design. Altrimenti problemi di usabilità verrebbero evidenziati solo dopo il rilascio, dopo la fase di sviluppo e di QA, perdendo tantissimo tempo e risorse.
  • utilizzare le valutazioni euristiche lungo il processo di design per raffinare il prototipo tra un test e l’altro. Non bisogna rischiare di cadere nell’eccesso e testare qualsiasi interazione. Perché ”bruciare” dei test utente per scoprire problemi di usabilità di cui già siamo a conoscenza? In questa fase un designer con una buona esperienza riesce a raffinare a priori un prototipo, tramite le euristiche di Nielsen, per poi avviare un test utente su specifiche interazioni.

COME STRUTTURARE UN TEST DI USABILITÀ

Quando ci troviamo a strutturare un test di usabilità non possiamo prescindere da alcune fasi fondamentali della sua preparazione.
Innanzitutto è indispensabile definire il target ed individuare 5 persone a cui far testare il prototipo. Devono rientrare nel target definito o essere il più verosimili possibile rispetto al futuro utente del servizio. Questo per poter essere sicuri che i risultati ottenuti siano fedeli e credibili. Per capire se una persona rientra all’interno del nostro target di riferimento è sufficiente sottoporle un ristretto numero di domande che possano restringere il campo. Ad esempio, persone che sono designer o che si prestano abitualmente a test di usabilità, spesso vengono esclusi perché hanno una conoscenza troppo elevata di interfacce. Oppure potremmo voler escludere persone che già conoscono a fondo il nostro brand.

Un altro passaggio imprescindibile è stilare una lista di task da sottoporre agli intervistati, che siano centrati con l’obiettivo che intendiamo raggiungere. Dobbiamo inoltre tenere a mente di non scrivere task troppo dettagliati, in modo da non cadere in qualche bias cognitivo e influenzare l’utente. È utile fornire sufficienti dettagli per ambientare il problema, senza però esagerare. Dobbiamo poi chiederci se ci aspettiamo di collezionare dati qualitativi (es: facile o difficile da utilizzare) o dati quantitativi (es: rating o tempo speso per un task). Un task perfetto per un test qualitativo probabilmente non lo sarà per un test quantitativo. Nel primo caso abbiamo bisogno di task aperti, in modo che il compito da eseguire possa essere liberamente interpretato. È vero oltretutto che in un test qualitativo possiamo modificare il task in corsa, se vediamo che non raggiungiamo l’obiettivo che ci eravamo prefissati o unire due task in uno.
In un test quantitativo i task devono avere, al contrario, solo una possibile interpretazione e soluzione. Non possono esserci ambiguità perché ogni utente potrebbe svolgere attività sostanzialmente diverse o seguire percorsi diversi nell’interfaccia. Questo comporterebbe una raccolta di metriche non confrontabili fra loro.

 

Ci sono altri passaggi sicuramente interessanti per realizzare dei test di usabilità validi ed efficaci. Fra tutti citiamo ad esempio la figura del facilitatore o la collezione a posteriori dei dati raccolti, temi che affronteremo in un prossimo articolo.

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