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4. Habit Design

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Redazione Antreem
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“To stop coronavirus we will need to radically change almost everything we do: how we work, exercise, socialize, shop, manage our health, educate our kids, take care of family members. We all want things to go back to normal quickly. But what most of us have probably not yet realized — yet will soon — is that things won’t go back to normal after a few weeks, or even a few months. Some things never will.” 

Gideon Lichfield, Editor-in-chief at MIT Technology Review

L’inaspettata pandemia COVID-19 ha fortemente disorientato individui, brand e governi, modificando le abitudini di miliardi di persone. 

Accomunati dall’incertezza di questo nuovo e inedito scenario, sorge anche l’intenzione di comprendere meglio la nostra nuova normalità. Una realtà che si sta definendo e che è caratterizzata, tra le altre cose, dall’emergere di comportamenti giudicabili come “irrazionali”.

Tramite le Scienze Comportamentali possiamo ipotizzare e descrivere le motivazioni sottostanti a queste reazioni, sia per interpretare e comprendere il presente, sia per immaginare lo scenario futuro.

Uno degli ambiti più noti delle Scienze comportamentali è l’Habit Design, ovvero lo studio delle abitudini.
La maggior parte delle scelte che compiamo ogni giorno non sono frutto di riflessioni consapevoli bensì di abitudini. E benché, singolarmente, non abbiano grande significato, nel loro complesso le abitudini influenzano enormemente la nostra salute, il nostro lavoro, la nostra situazione economica e la nostra felicità.

Da secoli gli uomini studiano le abitudini, ma è solo negli ultimi anni che la neurologia, la psicologia, la sociologia e gli esperti di marketing hanno realmente iniziato a capire in che modo funzionano.
L’Habit Design, infatti, oltre a indagare sulla formazione delle abitudini sia a livello individuale sia collettivo, nelle aziende e nelle istituzioni, ci permette attraverso alcuni framework, di progettare servizi e prodotti in modo da modificare le nostre abitudini.

Ma cosa si intende per abitudine ?

Un’abitudine è un comportamento ripetuto e inconscio che si forma a seguito di: 

  • numerose ripetizioni di uno stesso comportamento 
  • ricezione di una ricompensa ogni volta che si compie un comportamento
  • ricezione di una ricompensa variabile

Un’abitudine quindi non è solo un’azione; è l’associazione di un “trigger” (qualcosa che percepiamo) e di una “action” (qualcosa che facciamo) in cui l’azione segue automaticamente il trigger.

Nel progettare le abitudini, stiamo rafforzando la connessione tra un trigger e un’azione. Le neuroscienze ci danno sia una comprensione di ciò che accade quando le coppie cerebrali si innescano in azioni, sia di come possiamo farlo accadere. Gli scienziati descrivono un’abitudine come un “innesco” – accoppiamento “azione”.

 

Rappresentazione flusso creazione di un'abitudine

 

Durante l’evento Nudgestock2020, dei numerosi speech che ho avuto il piacere di seguire, uno mi ha colpito per incisività e l’attualità dei temi trattati: il talk di Bri Williams – Lazy, Scared, Overwhelmed.

 

“Se l’obiettivo delle scienze comportamentali si traduce nel portare le persone il più agevolmente possibile da un punto A — il loro comportamento abituale — a un punto B — il comportamento più virtuoso e socialmente utile — è necessario tenere conto di almeno tre barriere comportamentali da superare per favorire una nuova abitudine.”

 Bri Williams, talk “Lazy, Scared, Overwhelmed”

Inizia così l’intervento di Bri Williams, esperta in Buying Behaviour e Behavioural Influence, in cui spiega come la pigrizia sia la prima barriera da superare per favorire una nuova abitudine. Le altre due barriere principali sono la paura dovuta al bias dell’avversione alla perdita e la sensazione di essere sopraffatti dovuta al bias del paradosso della scelta

Il nostro cervello è naturalmente portato a risparmiare energie ed è per questo che gran parte delle nostre decisioni è determinata da quello che, il premio Nobel Daniel Kahneman, chiama Sistema 1.
Si tratta della parte più veloce, automatica, emozionale e non conscia del nostro cervello che, di fronte a una decisione, si attiva per prima, lasciando spazio solo successivamente alla parte più razionale e conscia del nostro cervello, il cosiddetto Sistema 2

Le nostre decisioni, infatti, nella maggior parte dei casi sono frutto di motivazioni inconsce e dettate dall’abitudine, di cui non siamo nemmeno consapevoli e che non sempre ci guida verso la scelta ottimale.

Per superare la barriera della pigrizia, dunque, secondo Bri Williams è importante ridurre lo sforzo cognitivo, necessario a raggiungere un obiettivo diverso dal solito, evidenziandone il beneficio di ritorno ovvero, la “ricompensa”.

La speaker cita come esempio pratico il sapone ideato per incentivare, nei bambini, l’abitudine di lavarsi le mani: ogni saponetta conserva al suo interno un piccolo giocattolo, che il bambino riuscirà a far suo a forza di lavarsi le mani. 

Come possiamo progettare le abitudini?

La progettazione delle abitudini può avvenire principalmente in due modi:

  • valutando i modelli di comportamento delle persone e cercando modi per automatizzarli, riducendo al minimo qualsiasi barriera e aggiungendo un investimento
  • utilizzando le giuste ripetizioni e i giusti inneschi con individui già motivati ad attuare un determinato comportamento 

Come identificare e analizzare le abitudini?

Il processo di identificazione delle abitudini inizia con l’osservazione della cultura, la definizione del pubblico di destinazione, la scomposizione in segmenti e la ricerca di abitudini che possono essere replicate o sostituite. Una volta identificate le abitudini dei potenziali utenti, si potranno analizzare utilizzando il modello HOOK.

Modello HOOK del processo di identificazione delle abitudini

 

Il modello Hook Eyal è essenzialmente un framework open source per la psicologia degli utenti. Questo modello si basa sul lavoro di contemporanei come: BJ Fogg (di cui abbiamo parlato nell’articolo sul Behavioural Design), Dan Ariely, Charles Duhigg e Daniel Kahneman e BF Skinner, inventore del comportamentismo in psicologia.
Ma ci sono differenze importanti nel loro approccio. Il modello di comportamento di Fogg si applica ugualmente bene alle azioni ripetute una tantum, a quelle ripetute, a quelle che vuoi motivare, così come alle azioni che vuoi evitare di motivare.
Eyal invece, si concentra su uno solo di questi quadranti: quelle azioni che vuoi trasformare in abitudini.

I quattro step descritti nel libro sono: Trigger, Action, Reward e Investment.

  1. Trigger
    Un trigger è una chiamata all’azione esterna o un’esigenza interna che richiede all’utente di intraprendere un’azione. Un esempio di trigger esterno è una notifica, mentre un trigger interno potrebbe includere emozioni come la noia, la curiosità o la paura di perdere qualcosa (FOMO).
  2. Azione
    L’azione è il comportamento più semplice in previsione della ricompensa. Perché si verifichi un comportamento umano, tre fattori devono convergere allo stesso tempo: una motivazione sufficiente, una capacità sufficiente per completare l’azione e un innesco.
  3. Ricompensa
    Il momento della “reward” è quello che provoca il sollievo nell’utente, la piccola scarica di dopamina che serve per raggiungere l’obiettivo. Potrebbe essere il punteggio che sale, dei badge, se parliamo di un gioco. Ma anche delle “pacche sulle spalle virtuali” come una barra di avanzamento che piano piano viene completata. Oppure i like, i commenti e le condivisioni, se parliamo di un social network.
  4. Investimento
    L’investment si compone di azioni che accrescono la possibilità che l’utente ritorni alle altre fasi del modello. Quando gli utenti investono tempo, denaro o sforzi nel tuo prodotto, hanno una ragione più forte per continuare a utilizzarlo. Potrebbe essere completare la propria biografia o darci più informazioni sui suoi gusti, o anche creare contenuti migliori, così da diventare sempre più interessati alle ricompense. 

Personalmente la parte più interessante del modello e che aggiunge qualcosa agli studi dei suoi predecessori è proprio l’ultimo step: l’investimento

Affinché l’abitudine prenda davvero piede, l’utente deve investire in essa.
Le foto che scattiamo per Instagram costituiscono il nostro investimento nella piattaforma. Non solo, la minaccia di perdere questa mole di lavoro ci impedisce di passare ad altre app fotografiche.

Anche il nostro coinvolgimento sociale sulla piattaforma rafforza questa continuità. Facendoci mettere noi stessi in un prodotto, i progettisti stanno usando il nostro narcisismo per aumentare il nostro valore percepito del loro prodotto.

Dan Ariely della Duke University e autore di Predictably Irrational e altri libri, lo chiama “Effetto Ikea“, dove il nostro tempo trascorso con l’onnipresente chiave a brugola rende i nostri cuori più affezionati al risultato finale (forse perfino imperfetto!).

L’altro aspetto è che, poiché siamo tutti creature abitudinarie, il nostro investimento in un’abitudine diventa una forma di inerzia che rende sempre più improbabile che ci impegneremo nella dissonanza cognitiva di una nuova soluzione al nostro bisogno.

Aumento delle abitudini

Tutti abbiamo sperimentato come alcuni prodotti abbiano cambiato le nostre abitudini di vita e i nostri comportamenti. L’ascesa degli smartphone, per esempio, e i prodotti a loro collegati – da Facebook a Slack, Twitter ed e-mail – vengono utilizzati continuamente. Le aziende produttrici hanno imparato a conoscerci e di conseguenza hanno sviluppato l’arte delle abitudini. Un esempio: Hai sentito un telefono vibrare e hai istintivamente guardato il tuo telefono? È un’abitudine condivisa da molti, nonostante le varie tipologie di vibrazioni non siano uguali su tutti i telefoni.

Ragazza con telefono in mano, mobile habit

Molti sono i libri e le pubblicazioni che trattano l’argomento abitudini.
Per questo, in fondo all’articolo troverete un elenco di libri che mi sento di consigliare per approfondire la materia in maniera ancora più esaustiva. 

Quando progettiamo abitudini digitali, da cosa possiamo partire?

Quando si parla di creare abitudini digitali non possiamo fare a meno di citare due letture: “Hooked: How to Build Habit-Forming Products” di Nir Eyal e “The Power of Habit” di Charles Duhigg.

Nir Eyal ha lavorato nell’industria dei videogame e dell’advertising, principalmente come consulente nelle tecniche di motivazione e manipolazione degli utenti.
Grazie a questa sua esperienza è riuscito a elaborare la teoria del “gancio”, cioè i quattro passi fondamentali per agganciare e tenere incollati gli utenti ai nostri servizi.

Senza ulteriori spoiler sul libro (che finirete in una settimana scoprendo perché investite tutto il vostro tempo libero sui social) posso dirvi che nelle sue pagine scoprirete i meccanismi psicologici dietro ad app come Farmville o ai Social (Instagram in testa) e di come vengono architettati i metodi per “manipolarci” tramite dosi di dopamina e rinforzi, sia positivi che negativi. 

Invece, Charles Duhigg spiega come si formano le abitudini e quali elementi servono per rompere un’abitudine radicata. 
In particolare, il libro fa riferimento a uno studio del 2006 della Duke University che ha rilevato che il 40% delle azioni che le persone compiono ogni giorno sono abitudini, non decisioni intenzionali.

Le abitudini influenzano la nostra vita quotidiana in molti modi diversi, anche nel modo in cui interagiamo con siti web e applicazioni.

Essere consapevoli di come le abitudini possono influenzare le interazioni degli utenti con i tuoi prodotti può aiutarti a progettare esperienze utente migliori

Quali responsabilità abbiamo quando cambiamo le abitudini dei nostri utenti?

Il Behavioral Design è un insieme di tecniche di persuasione che non devono essere confuse con la coercizione. Quindi, quando si progetta per cambiare i comportamenti utilizzando framework come il modello Hook, l’abitudine deve essere volontaria e in linea con i desideri degli utenti.
Ricorda sempre:

Fumetto con citazione Mahatma Gandhi

Behavioural Design 2020 e oltre

L’ultimo decennio è stato rivoluzionario per la progettazione comportamentale, la scienza e l’analisi. La prospettiva comportamentale si presta a molteplici casi d’uso e settori, dalla ricerca accademica alle applicazioni economiche. 

Il 2020 segnerà il decennio in cui la progettazione comportamentale troverà una connessione fluida e sistematica tra scienza e design. Integrare scienza e design non sarà facile e probabilmente richiederà una gestione del cambiamento, una accettazione dell’ambiguità e delle nuove sfide da parte di noi stessi e dei nostri collaboratori, creando team sempre più multidisciplinari.

Come promesso ecco la mia selezione di libri tratta dai consigliati dalla comunità di Behavioural Design: 100 Books to Become a Behavioral Designer  

Aggiungo i già citati:

 

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